Saonara e la carne di cavallo

Da dove derivi la tipicità della carne di cavallo nella zona di Saonara e Legnaro resta ancor oggi un mistero, intorno al quale si sono intrecciate varie ipotesi, più o meno fantasiose, tutte accomunate dalla mancanza di precisi riferimenti storici e documentari.

La tesi più suggestiva (e meno probabile) ci riporta nientemeno che ai tempi omerici, agli anni immediatamente successivi alla caduta di Troia, come sappiamo da collocarsi storicamente tra il 1250 e il 1180 a.C..  Secondo la tradizione romana ( Tito Livio in primis ) infatti gli Eneti di Paflagonia ( una regione costiera situata nel nord della penisola anatolica, cioè l’attuale Turchia) combatterono infatti a fianco dei Troiani con la loro cavalleria, disciplina nella quale erano considerati imbattibili. Gli Eneti ( la pronuncia originale della parola greca prevede un’aspirazione: Heneti, dal quel derivò il termine Veneti) alcuni secoli dopo iniziarono una lenta migrazione, durata almeno 400 anni, che li portò prima in Illiria (Adriatico meridionale) e successivamente nell’alto Adriatico e nelle zone circostanti. Storicamente la presenza degli Eneti, ormai diventati Veneti, in Venetia appunto è attestata stabilmente nell’VIII secolo a.C.. Secondo questa tradizione i Veneti continuarono nei secoli ad allevare cavalli, anche per cibarsene. Ma la Venetia dell’epoca andava dal Garda all’Istria, dalle Dolomiti al Po: non si comprende pertanto perché solo in talune aree, a Saonara appunto e inoltre a Verona, la tipicità della carne equina si sia conservata.

Un’altra ipotesi fa risalire questa tradizione gastronomica ai Sarmati, una popolazione guerriera per primo nomina lo storico greco Erodoto nel V sec. a.C., indicandone l’area di provenienza nelle pianure tra i monti Urali e il Don. Sempre Erodoto fa risalire l’origine dei Sarmati nientemeno che agli Sciti e alle Amazzoni, proprio per spiegare la grande abilità di questo popolo nelle battaglie a cavallo e la presenza, fatto più unico che raro, di donne inquadrate nelle truppe. Leggende a parte, nei secoli successivi i Sarmati si espansero con grande rapidità nell’Europa dell’Est e nei Balcani ma attorno al 330 d.C. vennero attaccati dai Goti: per evitare di essere sopraffatti decisero di allearsi con i Romani, che a loro volta rischiavano di perdere il controllo della Dacia, attuale Romania. I due alleati vinsero i Goti ma dovettero fronteggiare la rivolta delle popolazioni locali, fino a che l’imperatore Costantino non decise di trasferire le tribù sarmatiche (pare circa 300.000 persone) in Macedonia, Tracia e nel nord est dell’Italia, offrendo protezione in cambio di soldati per l’esercito. Una tribù sembra abbastanza consistente si stabilì anche in questi territori, ma più precisamente nella zona attorno a Vigonovo e alla prima area lagunare. Lo storico greco Pausania parla dei Sarmati come “mangiatori di cavalli”, ed ecco trovato il filo che dovrebbe condurci alla nostra tipicità gastronomica. Un filo piuttosto sottile in realtà, perché appunto i Sarmati erano stanziati più a est di Saonara, e non dimentichiamo che all’epoca la pressoché totale mancanza di vie di comunicazione e il territorio occupato da boschi e paludi rendevano molto difficili spostamenti che a noi oggi paiono insignificanti.

Tradizioni suggestive, ma forse per avvicinarsi alla realtà bisogna spingersi molto più vicino alla nostra epoca. Non solo in Italia, ma in tutta Europa si comincia a consumare carne di cavallo nel 1700, per effetto delle ricorrenti e gravissime carestie. In tutta Europa fuorché in Gran Bretagna, dove ancor oggi il consumo di carne equina è considerato un tabù. Un fattore particolare inoltre influenza i nostri territori proprio a partire dal XVIII secolo: la riorganizzazione della rete di canali venutasi a formare a seguito della grandiosa opera di bonifica delle zone umide intrapresa dalla Serenissima tra il Quattrocento e il Cinquecento; opera che aveva attraversato una fase di decadenza durante il Seicento. Sovente i barconi venivano trainati da cavalli, in particolare da razze a struttura massiccia. Inevitabile che gli animali malati, azzoppati o troppo vecchi venissero macellati e utilizzati per l’alimentazione: mancando ovviamente ogni metodo di conservazione con il freddo, per praticità le carni venivano seccate o affumicate. 

Ma altri due fatti storici, entrambi avvenuti nel 1815, dettero impulso definitivo al consumo di carne equina: la ritirata degli eserciti francesi dopo Waterloo, e la grande carestia conseguente all’eruzione del vulcano Tambora, in Indonesia. Costretti a cibarsi delle proprie cavalcature per non morire di fame, i soldati francesi lasciarono in eredità questa usanza in alcuni dei luoghi che attraversarono. Nello stesso terribile anno la devastante esplosione del vulcano Tambora gettò enormi quantità di polveri nell’atmosfera, provocando una drastica diminuzione della luce solare. In quell’anno, e anche nel successivo, i raccolti non maturarono, si verificarono inondazioni e tempeste di neve, il prezzo dei cereali e dei foraggi schizzò alle stelle. I cavalli morivano letteralmente di fame, oppure venivano macellati al posto di mucche e pecore. La loro mancanza, per inciso, e la mancanza di foraggio, spinse il barone Drais a inventare un mezzo di locomozione che non avesse bisogno della trazione animale: nacque la “draisina”, antenata della bicicletta. I cavalli come mezzo di locomozione e lavoro iniziarono a perdere importanza.

Ma tornando alla gastronomia, ecco che il cerchio si chiude: infatti proprio a partire dalla seconda decade dell’Ottocento ( 1820) risalgono le prime testimonianze certe della presenza in Saonara e Legnaro di famiglie dedite alla preparazione e vendita della carne equina. 

Tradizione che ancor oggi continua nei ristoranti e nelle case dei saonaresi, con la nostra Confraternita vogliamo consolidare questa tradizione ed esportarla nelle zone limitrofe.

Ricerche storiche gentilmente concesse da Dott.ssa Patrizia Rossetti